Sito del Museo Mineralogico di Isola del Giglio
 
(ASSESSORATO ALLA CULTURA COMUNE ISOLA DEL GIGLIO E REDAZIONE GIGLIONEWS)
con la collaborazione del Prof. Alessandro Fei

1) Colonne e mura.

Giglio Porto - la Torre del Saraceno - il molo granducale - i ruderi della villa romana del Castellare (Castellari) del Porto - la cava dello Scalettino del Porto - la Cava di Bonsere - la Gran Cava delle Cannelle - i resti della Cava del Foriano - la Cava del Piccione presso Punta Arenella - Giglio Porto.

Tempo: 4-5 ore. Dislivello: 150 m. Periodo indicato per l'escursione: qualsiasi. In estate ci può essere sovraffollamento. Vicinanza al mare: la maggior parte sul mare. Spostamenti: l'itinerario può essere percorso completamente in bicicletta, motorino o automobile. Attrezzature: consigliata una lente di ingrandimento.

 

Giglio Porto ha una storia plurimillenaria, legata al commercio del granito gigliese, di rara bianchezza e compattezza. Le cave del prezioso materiale, al contrario delle altre isole granitiche, si affacciano direttamente sul mare, e ciò ha sempre posto il Giglio in una condizione “privilegiata” rispetto alle altre località toscane per l'estrazione di tale roccia. Aperte dai romani nel I secolo dopo Cristo, sono state coltivate in modo intermittente fino alla metà del secolo scorso. A titolo di esempio, colonne gigliesi sono presenti nel Duomo di Pisa, nel Battistero di Firenze, nelle chiese di S.Croce in Gerusalemme e di S. Grisogono in Trastevere di Roma, nel Porto Neroniano di Anzio, nella Chiesa dei Gerolamini di Napoli e nella Villa di Punta Scaletta di Giannutri. Tutta la costa orientale dell'isola è disseminata di cave, e nel nostro itinerario ne visiteremo quattro, le più importanti da un punto di vista sia storico che geomineralogico.

Appena scesi dal traghetto ci si incammina sul lungomare di sinistra (verso il molo con fanale luce rossa). Fatti pochi passi si nota (sulla sinistra) la Torre del Saraceno, una bellissima torre di guardia di forma cilindrica risalente al XVI secolo, interamente costruita in granito. Il molo ad essa adiacente è il “molo Granducale” del Porto, costruito sull'originario tracciato romano e restaurato all'inizio del XIX secolo dall'allora Granduca di Toscana per permettere il commercio delle preziose colonne di granito.

Si seguano poi le stradine del Porto fino a raggiungere i ruderi sommersi di una vasca, la cetaria, utilizzata dai Romani per l'allevamento delle murene (nella caletta del Saraceno). Siamo sul cosiddetto “colle del Castellari del Porto”, dove, nel I sec. d. C. la famiglia patrizia dei Domizi Aenobarbi, imparentata con Nerone, costruì una splendida villa urbana per trascorrervi sereni periodi di villeggiatura. Di essa ne restano pavimenti a mosaico, colonne e avanzi di mura con il caratteristico opus reticulatum.

 

 

Girando per le pittoresche stradine del Porto è facile imbattersi in tali vestigia, ormai inglobate nelle case. Tornando poi indietro fino (al pontile di imbarco)all'imbarco dei traghetti, si consiglia vivamente di percorrere tutto l'altro lungomare giungendo fino ad un'altra cava di granito, lo Scalettino del Porto (molo fanale luce verde).

 

Tornati nuovamente (al pontile di imbarco)all'imbarco dei traghetti, si segue ora la via Provinciale fino al bivio per la Cala delle Cannelle. Nella sua risalita dal profondo della crosta terrestre, il granito, ancora allo stato di magma semifluido, ha inglobato rocce preesistenti, surriscaldandole e trasformando i minerali in esse contenuti, ottenendo le cosiddette xenoliti, rocce estranee al granito ricche di minerali estremamente interessanti. La zona che si imbocca ora, salendo – è proprio il caso di dirlo! – fino al cimitero di Bonsere è ricca di xenoliti, ed in una di queste sono stati trovati, dal Meli nel 1892 e dal Fei esattamente cento anni dopo, noduli di grafite, residuo del surriscaldamento di argille carboniose.

 

La presenza di tale minerale nel granito gigliese ed in quello elbano suggerì al tedesco Forsyth Major, alla fine dell'Ottocento, l'ipotesi – peraltro decisamente amena! – che le isole toscane fossero state in tempi remotissimi, le vette più alte di un antico continente ormai scomparso che, per analogia con Atlantide, chiamò Tirrenide. Niente di più errato: le isole granitiche toscane si sono formate in un periodo di tempo relativamente ristretto, tra 10 e 5 milioni di anni fa, in seguito a processi di fusione della crosta superficiale (la cosiddetta anatessi) e conseguente risalita del magma granitico verso l'alto. Va comunque ricordato che ancor oggi, navigando su Internet, si trovano segnalazioni dell'esistenza della Tirrenide!

 

Sulla destra, poco dopo il cimitero di Bonsere, si trovano i resti di un'antica cava di granito, detta dal Meli Cava Bonseri. Continuiamo la nostra passeggiata, seguendo la strada che raggiunge la Cala delle Cannelle: dopo aver ammirato gli splendidi Scogli dello Smeraldo e lo scenario delle grandi cale delle Cannelle e delle Caldane siamo ormai giunti in prossimità della spiaggia delle Cannelle. Ma prima di scendere al mare è consigliabile voltarsi un attimo verso la montagna, per ammirare lo scenario della Gran Cava delle Cannelle. 250 metri di fronte di cava per 25 di altezza, un immenso squarcio dal quale si estraeva uno dei graniti più puri e compatti, con delle bellissime inclusioni verdastre.

E proprio questo minerale verdastro, la cosiddetta pinite, è l'enfant terrible della mineralogia gigliese. Appartenente al gruppo delle miche, si forma per alterazione del granito in presenza di acqua di mare. Nota ai mineralogisti fino dall'inizio dell'Ottocento e riconosciuto come precipuo del Giglio – molte colonne di granito gigliese sono state riconosciute grazie alla presenza di tali inclusioni nella roccia – la pinite è stata protagonista di una querelle scientifica durata più di cento anni senza giungere ad una conclusione univoca. Iniziò nel 1865 con le analisi chimiche del bolognese Luigi Bombicci, il quale ascrisse a tal nome più di venticinque specie diverse, la maggior parte oggi discreditate. Seguì poi il romano Romolo Meli il quale, nel 1892, asserì che tale minerale deriva dalla presenza, nel granito, di cordierite, un raro silicato di magnesio, proponendo pertanto, per la roccia gigliese, il nome di granitite cordieritica. D'altra parte, secondo John Dana (1900) al nome pinite si potevano ascrivere tutta una serie di minerali diversi classificabili perlopiù al gruppo delle miche. Scompiglio fra i mineralogisti fu gettato dal fiorentino Federico Millosevich, il quale, analizzando la roccia gigliese, sconfessò le ipotesi precedenti, adducendo che il minerale verdastro – da lui chiamato pinitoide – era un prodotto di alterazione del feldspato contenuto nella roccia. A metà del Novecento la questione non era ancora risolta: secondo il mineralogista slavo Jiřj Kourimsky la pinite vera e propria si forma dall'alterazione di una varietà ferrifera di cordierite, la sekainanite, e non dalla cordierite vera e propria: quindi, riprendendo l'originaria ipotesi del Meli, il granito gigliese doveva essere una “granitite sekainanitica(!)”... Neanche il Fei (1992), analizzando con i raggi X le cordieriti alterate riuscì a chiarire la questione: il minerale appare solo parzialmente cristallino, ed ascrivibile al gruppo delle muscoviti.

 

La cava presenta altre particolarità: la tormalina schörlite compare in piacevoli ammassi neri, lucenti, e, rarissime masserelle di granato rosa arrossano la roccia. Ma non si può andar via senza aver ammirato la spiaggia, bianca e impalpabile, ottenuta dallo sgretolamento del granito: e talvolta è bello ammirare i giochi di luce che la nera biotite crea con l'acqua cristallina, sulla battigia.

 

Torniamo su per la Provinciale ed incamminiamoci in direzione dell'albergo Castello Monticello. Fatti pochi passi sulla sinistra troviamo i resti di un'antichissima cava, ormai adibita a parcheggio per pochi automobilisti fortunati. Si tratta dell'apice della Cava del Foriano, la cava più famosa dell'isola, aperta dagli antichi Romani e menzionata dal Brocchi nel 1818, dalla quale sono state estratte grandi colonne di granito che tuttora ornano il Foro Romano.

 

Saliamo fino all'Albergo Castello Monticello e scendiamo giù per la strada asfaltata. Dopo circa 1 km arriviamo alla Caletta presso la Punta dell'Arenella: alla nostra destra vediamo il fronte di cava e la discarica della Cava del Piccione, l'ultima cava di granito attiva al Giglio. Questa ha rivestito, negli ultimi vent'anni, un'importanza estrema per gli studiosi di mineralogia gigliese: da essa infatti proviene una varietà di tormalina unica al mondo, la cosiddetta tormalina schörlite con habitus discoidale o, come le ha “battezzate” il Fei nel 1988, le tormaline discoidi. Caratterizzati da un'estensione abnorme delle facce romboedriche superiori ed inferiori rispetto a quelle prismatiche, i cristalli assumono un curioso aspetto schiacchiato, a mo' di dischi neri lucentissimi. Molto piccoli (la massima dimensione finora riscontrata è 18 mm di diametro), sono accompagnati da una ricca serie di minerali, tra cui spicca l'ortoclasio in belle cristallizzazioni, il quarzo e la rara fluoroapatite in aghetti bianchi. Conviene quindi armarsi di una buona lente di ingrandimento e divertirsi ad osservare le geodi della pegmatite (riconoscibile dal caratteristico colore bianco latte rispetto al bianco accecante del granito) ammirando la bellezza della natura. Ricordiamoci comunque che le tormaline discoidi sono e devono restare patrimonio di tutti; inoltre, come tutte le discariche, anche quella della Cava del Piccione è pericolante, e non è consigliato inerpicarvisi.