Sito del Museo Mineralogico di Isola del Giglio
 
(ASSESSORATO ALLA CULTURA COMUNE ISOLA DEL GIGLIO E REDAZIONE GIGLIONEWS)
con la collaborazione del Prof. Alessandro Fei

6) Vestigia di antiche miniere

Campese - Discariche della miniera Franco - Valle Ortana - Cala Allume - Campese.

Tempo: 2½ ore. Dislivello: 150 m. Periodo indicato per l'escursione: qualsiasi. In estate è raccomandabile portarsi dietro acqua potabile in abbondanza. Vicinanza al mare: in parte nell'interno, in parte sul mare. Spostamenti sulla terraferma: una parte del percorso può essere effettuata con un mezzo, il resto a piedi. Attrezzature: sandali chiusi o scarpe da passeggiata.

 

Si parte da Campese. Ci si dirige verso la Centrale Elettrica. Sulla destra, poco dopo il parcheggio delle auto, si osserva un ammasso caotico di rocce cementate malamente da terra rossa: è quanto rimane delle antiche discariche della Miniera Franco, in origine posizionate nella zona del residence “La Marina del Giglio” e poi spostate presso l'attuale campo sportivo.

 

Ancora i processi mineralizzatori agiscono, in questo residuo dell'antico splendore minerario, come prova la presenza, tra un sasso e l'altro, di microscopici cristalli di gesso di neoformazione, e di copiapite giallo chiaro. Ci si incammina quindi per la Valle Ortana. Sotto di essa, al contatto tra granito e calcari, i processi minerogenetici hanno prodotto, cinque milioni di anni fa, un giacimento di pirite di circa venti milioni di tonnellate.

 

Scoperto da Giuseppe Giulj nel 1835, è stato oggetto di coltivazione alterna dal 1882 al 1962, come annota il Fei (1988) nel suo lavoro sulla storia delle attività minerarie gigliesi. Giudicato sommamente istruttivo per le sue condizioni di giacitura prima dal Meneghini (1865) e poi dal Lotti (1910), è un tipico “giacimento filoniano di contatto” generatosi in seguito al raffreddamento del magma granitico, molto simile agli altri giacimenti piritiferi del Massetano. E' stato il primo grande giacimento di pirite sfruttato in Italia in epoca moderna.

 

Si prosegue per le sterpaglie della Valle, fino a quando la strada finisce, e il sentiero si incammina dentro una lecceta che anche nell'estate più assolata offre una piacevole sensazione di ombra e di frescura. Si sale lentamente mentre gli alberi lasciano spazio prima alle sterpaglie, poi alla nuda pietra. In cima al sentiero ci sovrasta minaccioso un grande ammasso di calcare cavernoso, residuo del fondale dell'antica laguna e “parente” stretto del Faraglione.

 

Sotto di noi si stende la Cala dell'Allume, dalla tipica forma a cuore; ma è come se il sentiero franoso ci bloccasse, ci facesse sentire moderni pirati bramosi di carpire i suoi segreti. E allora, come in un rito di passaggio non scritto, fermiamoci un attimo ad ammirare lo Scoglio Nero e la rupe della Penna, testimoni, nel XVII secolo, di una fallimentare avventura di estrazione dei minerali ferriferi ivi presenti, avventura che vide protagonisti i Magonieri toscani e lo stesso Granduca, spinto dal desiderio di affrancarsi dalle fastidiose tasse impostegli dai signori di Piombino, padroni delle miniere elbane.

 

Si deve scendere lentamente, assaporando i colori violenti ed allucinati della Cala: sul bianco del sentiero si staccano il rosso della limonite, il verde delle “cepite”, il celeste del mare, il grigio del calcare cavernoso, e poi, scendendo, il marrone scuro del calcare marmorizzato, il giallo dello zolfo e dell'onnipresente copiapite si confondono con il viola delle filladi e il giallo oro della pirite.

 

Siamo finalmente scesi, l'Allume ci ha accettato. E allora ci dirigiamo a destra, verso la spiaggetta, verde di prasiniti e grigia del calcare, fino ad una grotticina, quasi in fondo alla Cala, avanzo di una galleria di saggio, ancora ricca di ematite grigio-ferro. Torniamo indietro, fino al punto di partenza. La crisocolla e la melanterite ci fanno compagnia mentre ci dirigiamo dall'altra parte della Cala, verso le vestigia dell'ingresso del Pozzo Allume, individuabile da qualche longarina arrugginita e dalle trabeazioni di sostegno. Alcuni irresponsabili hanno distrutto il muro che sigillava l'ingresso, e si sconsiglia assolutamente a chiunque di entrarvi, anche per pochi metri, in quanto tutto assolutamente allagato e pericolante. Nelle rocce accanto a questo compaiono masserelle di ematite grigio-ferro, quarzo bianco o giallo per patine di limonite, copiapite giallo chiaro e piccoli cristalli rosa di fluorite, residui di un passato glorioso che ha visto avvicendarsi in questa Cala i più grandi mineralogisti italiani alla ricerca delle risposte ai loro interrogativi.

 

Ma la sorgente ferrugginosa davanti all'ingresso continua ad arrossare l'acqua, naturale monumento alla gloriosa epopea dell'estrazione della pirite, regalando per sempre i suoi colori.

 

Questo è l'allucinato “Allume”, tavolozza dell'estremo, dove la luce si fa riverbero, dove la pietra diventa compagno fidato, dove l'acqua è sirena ammaliatrice, dove ti senti spinto a riscoprire le tue pulsioni primigenie, e dalla quale ti allontani pervaso dal desiderio di tornarvi.